domenica 28 febbraio 2010

Versi prima di coricarsi - Alexandra Leaving, Leonard Cohen

Volevo selezionare un verso, un distico, una frase di significato. Ma mi sono reso conto chr non riuscivo a scegliere un brano e lasciarne fuori un altro. Quindi, in omaggio a Cohen, ma soprattutto a Kavafis, da cui è tratta, la offro tutta (qui in audio). Poesia pura.

Alexandra leaving

Suddenly the night has grown colder.
The god of love preparing to depart.
Alexandra hoisted on his shoulder,
They slip between the sentries of the heart.

Upheld by the simplicities of pleasure,
They gain the light, they formlessly entwine;
And radiant beyond your widest measure
They fall among the voices and the wine.

It's not a trick, your senses all deceiving,
A fitful dream, the morning will exhaust -
Say goodbye to Alexandra leaving.
Then say goodbye to Alexandra lost.

Even though she sleeps upon your satin;
Even though she wakes you with a kiss.
Do not say the moment was imagined;
Do not stoop to strategies like this.

As someone long prepared for this to happen,
Go firmly to the window. Drink it in.
Exquisite music. Alexandra laughing.
Your firm commitments tangible again.


And you who had the honor of her evening,
And by the honor had your own restored -
Say goodbye to Alexandra leaving;
Alexandra leaving with her lord.

Even though she sleeps upon your satin;
Even though she wakes you with a kiss.
Do not say the moment was imagined;
Do not stoop to strategies like this.

As someone long prepared for the occasion;
In full command of every plan you wrecked -
Do not choose a coward's explanation
that hides behind the cause and the effect.

And you who were bewildered by a meaning;
Whose code was broken, crucifix uncrossed -
Say goodbye to Alexandra leaving.
Then say goodbye to Alexandra lost.

Say goodbye to Alexandra leaving.
Then say goodbye to Alexandra lost

giovedì 25 febbraio 2010

Talk Talk - Spirit Of Eden

I Talk-Talk sono uno dei pochi gruppi la cui carriera discografica è andata migliorando con il passare del tempo e forse sono l’unico caso di un cambiamento tanto repentino e radicale da aver lasciato tutti a bocca aperta ai tempi e ancora oggi talmente raro da lasciare increduli.
Agli albori degli anni ’80 i nostri si conquistarono un certo successo commerciale con brani quali It’s my life o Such a shame, canzoni di pura natura pop che si contendevano le classifiche con i campioni dell’epoca. Erano i tempi dei primi video musicali, nasceva VideoMusic, dopo pranzo ci sciroppavamo la programmazione di DeeJay Television (con Linus e Albertino ragazzini!) che mandavano in onda gente come Duran Duran, Spandau Ballet, Pet Shop Boys, Level42, Howard Jones, Paul Young e appunto i Talk-Talk. Puro pop commerciale, e se gli anni ’80 sono stati l’apoteosi di quel genere effimero e artefatto, i Talk-Talk ne costituirono giocoforza una delle massime espressioni di sempre.
Era ancora l’epoca dell’equazione successo=un sacco di soldi per sé e per la casa discografica e quest’ultima, dopo un paio di LP di sempre crescente consenso, concesse fiducia e diede carta bianca ai quattro ragazzotti londinesi: fate quel che volete, per il prossimo disco prendete quel che vi pare. Paghiamo noi.
E mal gliene colse.
I Talk-Talk si chiusero in un casolare in campagna e iniziarono a comporre e a suonare liberi da ogni pressione e condizionamento di produzione. Si dice che suonassero in una stanza illuminata solo da lumi di candela per raggiungere il massimo dell’ispirazione e concentrazione.
Quello che consegnarono fu un lavoro tenue e sofisticato che lasciò sbigottiti discografici e grande pubblico, segnandone inevitabilmente il crollo delle vendite.
6 brani bellissimi, che partono da movimenti minimi degli strumenti, tutto sussurrato e appena sfiorato, salvo essere di preludio per occasionali e intense esplosioni pronte a rientrare nella quiete dopo poco. Via gli strumenti elettronici (synth e drum-machine, i caratteri distintivi della musica del tempo), via i ritmi dance, via le melodie appiccicose e avanti con elegantissime e suggestive linee appena abbozzate e scarne, appena sufficienti a sostenere l’armonia, pochi tocchi di chitarra, qualche accordo di pianoforte, la batteria solo quando serve ed un cantato gentile e non invadente.
Una delle frasi celebri di Mark Hollis (il leader) pare che fu: “Prima di suonare due note, impara come suonarne una sola. E non suonare una nota finché non hai una ragione per farlo”. E in effetti siamo lontanissimi sia da virtuosismi prog che da qualsiasi baldoria dance.
Non pensate però a musica minimale o triste. Si tratta invece di composizioni seducenti e distese, con momenti di sospensione e cadenze risolutive, tutto ampiamente sostenuto da un magistrale buon gusto.
I nostri fecero poi ancora un altro album Laughing Stock, bellissimo anch’esso, con un’altra etichetta (Verve-Polydor, la EMI li scaricò dopo il flop commerciale di Spirit of Eden) e poi scomparvero come gruppo.
Col senno di poi (ma così è troppo facile) si può anche andare a scovare nei singoli di inizio carriera una certa inquietudine, un certo barlume di acuta originalità che li poneva un passettino più avanti ai loro antagonisti commerciali del tempo. È troppo facile in effetti, ma si può fare, provate.

Questo è un altro consiglio per gli acquisti. Per conto mio, al di là della storia ranocchio-principe, si tratta di un disco bellissimo, godibile e ancora totalmente fruibile dopo più di vent’anni dalla sua pubblicazione, uno di quelli che, in spirito con l’idea di questa rubrica, è assolutamente regalabile. Magari e soprattutto a chi di quei tempi ha ricordo dei Talk-Talk come una delle tante plastic-band dell’epoca.

Have One On Me

È uscito il nuovo album di Joanna Newsom.
E ne dicono un gran bene.
Fico.

update: minchia! è un CD triplo!

lunedì 22 febbraio 2010

Sulla semplicità

Si discuteva qualche giorno fa di musica e annessi e connessi, e il tema era quello vecchio e stantio della perizia tecnica. Io sono un fermo sostenitore della non necessità di un gran bagaglio tecnico per essere in grado di produrre gran musica.
Mi si contestava, e non proprio del tutto a torto (anche se io sul momento mi sarei fatto scannare piuttosto che ammettere una briciola di sensatezza in chi dialetticamente mi si opponeva), che la mancanza di capacità può di fatto tarpare le ali all’artista, che si trova vincolato ad esprimersi all’interno dell’angusto perimetro della propria (im)perizia.
Ribattevo che troppe volte invece il desiderio di produrre qualcosa di “difficile”, che non appaia banale, si traduce in un virtuosismo fine a se stesso. Invece di fare l’accordo X, che ci starebbe bene, ci metto una cascata di 227 (numero primo!) di note con contrattempi e sincopi a manetta, così tutti rimarranno a bocca aperta a dire quanto sono bravo.
Chiaro che a dirla così è ovvio che la ragione stia dalla mia parte, mentre alla fine, come spesso capita, credo la verità si trovi più o meno nel mezzo.
Nel mezzo più vicino alla mia parte, però!
Naturalmente la discussione si è poi spostata sugli esempi. E vai di Nirvana vs. Dream Theater, CCCP vs. PFM, e così via, perfino un Tricarico (giuro!) vs. Giorgia, con io che ovviamente sostenevo la netta superiorità dei primi contro i secondi.
Beh l’ora era tarda, la lucidità vacillava.
Poi ho avuto il colpo di genio, e ho tirato fuori questa canzoncina qua. Semplice semplice, appena sussurrata, ma meravigliosamente più bella di qualsiasi cosa progressive metal incisa negli ultimi 1000 anni:

Inutile dire che il mio antagonista non l’aveva ben presente (leggi: non la conosceva), per cui il mio coup de grâce è andato decisamente a vuoto.

Poi però me la sono riascoltata, e benché per me sia una cosa da torcerti le budella, devo riconoscere che l’arrangiamento, per quanto delicato e minimale, non è poi così banale. Cioè il buon Eno è uno sofisticato mica poco, solo che ha il pregio di non mettere la sua tecnica a servizio dello stupore, ma solo della musica.
E in realtà, questo sostiene ancora di più la mia tesi.
In un certo senso.

venerdì 19 febbraio 2010

Sade - Soldier of Love

Vi ricordate Sade? È una cantante anglo-nigeriana che negli anni ’80 ha fatto alcuni dischi, Diamond Life, Promise e Stronger than Pride, che in quel periodo ebbero anche un gran bel successo, poi per tanti anni sono stati solo Best Of e qualche album passato abbastanza inosservato. Faceva musica, raffinata, vellutata, elegante, calda, sensuale, suadente, tutti aggettivi che si adattano benissimo anche alla sua voce. La definizione più bella è secondo me “musica da BMW”. Insomma, musica ideale per macchinoni tedeschi potenti e silenziosi, da ascoltare comodamente seduti su sedili in pelle. Un po’ da sottofondo, quindi.
Beh, Sade ha fatto un nuovo disco.
E la notizia è che questo disco è immediatamente balzato in testa alle classifiche di iTunes in U.S.A, Italia e Inghilterra.
L’ho sentito e siamo ancora lì: musica da BMW. Se vi piaceva Sade, vi piacerà anche questo disco. Per quanto mi riguarda direi che non è affatto male, nel suo genere. Un paio di brani sono piuttosto belli, l’ultimo, The safest place, su tutti. Ottimo sottofondo.

N.B. Naturalmente “musica da BMW” in genere ha un’accezione piuttosto negativa, che parte dal presupposto basato su chissaquali evidenze che i possessori di macchinoni eleganti e potenti siano musicalmente incompetenti e che la musica che esce dalle casse hi-fi dei loro mezzi sia solo un ulteriore accessorio elegante. Massimi alfieri del genere pare che siano i Dire Straits, degna regina è appunto Sade. Con rispetto parlando.

giovedì 18 febbraio 2010

Herbie Hancock - Maiden Voyage

Una delle cose più impressionanti di questo disco, “una delle”, è che l’autore, Herbie Hancock, aveva 25 anni quando l’ha registrato. 25 anni! A quell’età creare un simile capolavoro, un tale prodigio di equilibrio, fantasia, profondità e semplice bellezza è davvero impressionante.
A dire il vero siamo nel 1965 e il ragazzo militava già da un paio di anni nel fenomenale secondo quintetto di Miles Davis, quello che a mio avviso è stato il punto più alto della carriera di uno dei più grandi musicisti del secolo. Ed è tutto dire.
E di quel quintetto in questo disco c’è quasi tutto: Herbie Hancock al piano, George Coleman al sax tenore, Ron Carter al basso, Tony Williams alla batteria. E alla tromba, al posto del meraviglioso suono del divino Miles, Freddie Hubbard, che se non era alla stessa altezza per quanto riguarda l’ispirazione, poco ci mancava e la tecnica era perfino superiore.
Cinque musicisti strepitosi dunque e questo album è uno dei loro gioielli (ne registrarono altri insieme, Empyrean Isles su tutti, anche questo bellissimo). Una sorta di concept-album dedicato al mare (maiden voyage è il viaggio inaugurale di una nave, ma maiden sta anche per inviolato, incontaminato, come le terre esplorate da questo vascello) e al mare, ai suoi abitanti, ai suoi paesaggi nascosti, si viene trasportati durante l’ascolto dei 42 minuti e rotti della sua durata.
Il primo brano, la title track è programmatico fin dalle prime note: un ritmo semplice e ripetuto sostenuto da tutti gli strumenti che evoca il movimento periodico e incessante delle onde del mare, presto impreziosito dalle trame sinuose e contorte prima del sax e poi dalla tromba prima di essere sommerse dallo spumeggiare delle note sparse a pioggia dal pianoforte di Hancok per poi richiudersi sullo stesso tema iniziale.
Dopo si scatena l’uragano, ed è proprio The Eye of the Hurricane a travolgere con la sua energia circolare, mettendo in luce il solido e non fine a se stesso virtuosismo di tutti gli interpreti che si mettono in fila per investirci con veementi cascate di note.
Segue Little One ed è una piccola ballad tenue e delicata, quiete dopo la tempesta, che lascia il tempo necessario a rifiatare, a riprendersi dalle peripezie del brano precedente.
La successiva Survival of the Fittest richiama un quadro di darwiniana lotta per la sopravvivenza, dove creature diseguali (ritmi e temi) si affrontano, si alternano, si scontrano e si incontrano in un caos quasi primordiale, alternando momenti furiosi a improvvisa quiete, voli pindarici e ritmi arcaici, ronzii di insetti e furia di fiere.
Infine la danza dei delfini, Dolphin Dance, appunto, un quadro incantevole, di quelli da ammirare al tramonto con le sagome dei cetacei che saltano nel mare rosseggiante. Rilassante e sublime, con gli strumentisti che si godono a loro volta la quiete con fraseggi melodici e rilassati come non avevano ancora fatto nel resto del disco.

Beh questo è il mio primo consiglio per gli acquisti, ed è un consiglio che do veramente a cuor leggero, tanto stupendo è questo album. Ho deciso di non fare classifiche: quando si tratta di capolavori per me è troppo difficile stabilire un qualche ordine di preferenza, ma se proprio venissi costretto, Maiden Voyage figurerebbe senza dubbio tra le primissime posizioni.
Ah, poi come consiglio d’acquisto è veramente poco impegnativo: queste cose ormai si trovano a circa 5 euri. Spesi benissimo.

mercoledì 17 febbraio 2010

Consigli per gli acquisti

Quali sono i dischi per cui provate l’inderogabile urgenza divulgativa? Detto in altre e meno pompose parole: quali sono i dischi di cui a cuor leggero consigliereste l’acquisto a parenti e soprattutto amici?
Quei dischi che sono stati una folgorazione e che reggono il passare del tempo. Quei dischi che ogni volta che li mettete su lodate l’inventore della musica. Quei dischi che però, ripeto, regalereste a gente dai buoni gusti ma con poca voglia di condividere le vostre manie più estreme, quelli che donereste senza covare il timore di sentirvi dire “ma che è ‘sta merda?”, che poi magari non ve lo direbbero perché sono amici o parenti, appunto, ma che potrebbero portarvi ad essere guardati in modo strano e preoccupato o, cosa ancora peggiore, condiscendente.
Liberi da ogni vincolo temporale o di genere o di classifiche, utilizziamo questa bacheca, commenti compresi, per segnalare gli inestimabili gioielli della nostra discoteca, i tesori da condividere, da diffondere, da tramandare.
Allons enfant!

Ok Go - Of The Blue Colour Of The Sky

Degli Ok Go si è parlato diffusamente a mo’ di messaggio virale circa un mese fa, quando sono stati protagonisti dell’ennesimo caso ‘Davide vs. Golia’ con la cattiva major discografica. In pratica quest’ultima aveva impedito la pubblicazione in embed del loro ultimo video su YouTube a difesa di un’assurda ed antiquata forma di protezione del copyright. Cioè, per spiegarmi: non è che non fosse possibile vedere aggratis il video, solo che non lo si può pubblicare direttamente nelle finestrine dei blog come ogni tanto facciamo anche qui dentro. Quel che si può fare è pubblicare il link al video e mandare i lettori del blog a vederso sulla pagina ufficiale di EMI.
I ragazzotti americani per tutta risposta hanno pubblicato il video anche su Vimeo, un altro sito di pubblicazione di filmati, dove l’embed rimane possibile nonostante le proteste della casa discografica.
Beh, questa vicenda, piccola baruffa in qualche modo interna, ha scatenato il tifo degli utenti del mare-internet a favore dei coraggiosissimi artisti indiependenti e creato un tam-tam tale da portare benefici sia a loro che alla casa discografica.
E vissero tutti felici e contenti. Tutti. Tanto da creare perfino qualche sospetto dietrologico: tutto calcolato? Siamo diventati sospettosi e vediamo il complotto dietro ad ogni cosa, per cui nulla sembra più genuino, tutto sembra architettato in maniera infallibile e soprattutto sempre a nostre spese.
Boh, non lo so, io per natura non sono diffidente fino a questo punto. Tanto più che il danno che me ne viene è praticamente nullo. Una piccola presa in giro, ma vabbè, ne subiamo di ben peggiori di questi tempi.
Comunque mi sono preso il piacere di ascoltare l’intero disco. E che dire? Bello, mi è piaciuto.
Un album di power-pop interessante e gradevole, senza picchi esorbitanti, ma sempre piacevole e costruito con intelligenza non banale e a volte anche intraprendente.
Echi di Beck, Prince e poi elettronica e distorsioni di voci e strumenti, qualche momento straniante, ma sempre rimanendo in ambito pop, non si devia troppo dall’orecchiabile.
Ci sono quindi alcuni elementi per renderli sgraditi ai duri e puri dello snobismo musicale: l’appartenenza ad una major, le campagne di marketing furbette (il precedente singolo, Here we go again, si era giovato di una pubblicità fatta di passaparola e milioni di contatti su YouTube), l’attitudine pop ed un certo successo commerciale (nicchia eh, mica sono gli U2), ma tutto sommato un ascolto se lo meritano e sono ideali per farci compagnia e dare un po’ di verve a certe giornate grigie, fredde ed umidiccie come quelle di questo periodo.

martedì 16 febbraio 2010

Il cassettone - parte 2

Il cassettone postato da Luca ha avuto l'inevitabile effetto di farmi sentire obsoleto. Inadeguato ai tempi moderni. Infatti non saprei dare una corretta definizione di podcast, nè posseggo un account rapidshare per il download veloce e mi inquieta, pur nel mio internazionalismo convinto, usare 4 parole di inglese nella stessa frase. Ma soprattutto sono stato troppo a lungo artigiano meticoloso di quel reperto vintage che è il cassettone per non sentirsi beatamente un residuo di un'epoca passata. Non per reducismo d'accatto ma per gioioso omaggio, mi piace rivedere come si costruiva il cassettone suddetto. Innanzitutto occorreva acquistare il nastro della lunghezza desiderata, designata dalla lettera C seguita dalla durata: C46, C60, C90 e poi le improbabili C120 che notoriamente si strappavano presto ingorgando il registratore di lembi di nastro massacrato. Vista la minima differenza di prezzo quasi sempre la prescelta era la C90, che se la si usava a fini di archivio (cioè si copiava un vinile) conteneva un LP per lato. Ma se l'obiettivo era la compilation un ora e mezza da riempire voleva dire prepararsi ad almeno 2-3 ore di lavoro, a mettere e togliere i vinili dal giradischi, regolare ogni volta il volume di registrazione, sfumare dove necessario, brigare perchè non si sentisse il click di pausa registrazione (NB: gli audiofili usavano cassette cosiddette Metal o Cromo, più costose e secondo noi taccagni non è che ne valesse la pena, anche se qualunque orecchio avrebbe apprezzato la differenza). Il primo problema rilevante era la scelta dei brani, che ovviamente dipendeva, come per i quadri rinascimentali, dal committente. Se era un amico, passi, mettevi i pezzi nella sequenza più comoda, senza mettere e togliere 8 volte lo stesso disco dal piatto, fregandosene se la chiusura di una canzone non stava proprio bene con l'inizio della successiva e se il pezzo richiesto era a metà della seconda facciata. Attenzione, stiamo parlando di un epoca in cui il tasto “skip” non esisteva. Se invece, come talvolta succedeva, la committenza era una fanciulla che ci aveva chiesto un solo brano e cui abbiamo promesso una sapida cavalcata nei territori del pop da lei inesplorati , ecco che si faceva necessario un accurato lavoro di selezione e disposizione dei brani. Facciamo l'ipotesi che la proposta di redigere la preziosa antologia fosse partita dopo la richiesta di sdoppiare, che so, Enola Gay degli OMD. Siamo sul pop elettronico intelligente, con deciso piglio discotecaro. Si poteva partire dagli OMD per sfociare nella new wave darkeggiante e sperare che la affascinante ombrosità di Siouxsie &The Banshees, Psychedelic Furs, Cure e compagnia bella riverberasse su di noi e ci facesse sembrare, agli occhi della tipa in questione, turbati e conturbanti come degli Ian Curtis locali. Oppure si poteva arrivare al pop raffinato, transitando per qualche accattivante riempipista, a testimonianza del garbo mondano che ispirava i nostri gusti. O ci si dedicava dichiaratamente alla dance music secca, ovviamente cercando di cesellare le scelte sul meglio del ballabile. Ma poi sorgeva inesorabile il dubbio: se piazziamo Enola Gay come primo brano, poi tutto il resto della cassetta, con le nostre raffinate selezioni, lo sente? Magari no, e allora valeva la pena di tormentarsi se mettere o no i Prefab Sprout e se The Wait è veramente il miglior singolo dei Pretenders? E se invece mettiamo Enola Gay a metà della seconda facciata, dopo averle strapazzato le palle con un sacco di roba che lei NON ci ha chiesto, non è che a metà della prima si rompe e ci registra sopra EroZero e Zerolandia?
Da qui deriva la prima regola fondamentale: piazzare il brano richiesto nel luogo giusto (più o meno metà del lato A)
Altra regola: non svisare troppo sui contenuti. La richiesta sono gli OMD. Va bene che vogliamo dimostrare la nostra cultura enciclopedica, ma siamo certi che un raga di Ravi Shankar sia gradito, specie dopo il 12° minuto di assolo di sitar? Vale anche l'opposto, se la richiesta è stata una zuccherosa Woman (Lennon in fase calante, ma ottima soundtrack per primi approcci), proseguire la selezione con gli Einsturzende Neubauten o Terry Riley, sicuramente evidenzia il nostro lato oscuro e turbolento ma può proprio rompere i coglioni. Infine esiste un debito che dobbiamo agli dei della musica e dell'armonia: la cassetta deve avere una sua coerenza. Proprio perchè non c'è lo skip, perchè non basta schiacciare un tasto Del per cancellare dalla playlist dell'iPod il brano fuori luogo, non possiamo avere Giorgia e Prokofiev, Albinoni e le Spice Girls, Frate Cionfoli e i CCCP sullo stesso nastro. Sarebbe come tifare Juve e Toro contemporaneamente. Alla fin fine i cassettoni migliori erano quelli che ciascuno si componeva per proprio diletto, senza soggiacere a richieste esterne, e appena li riesumo da qualche vecchio baule dove sono stati tumulati, giuro che ve li propongo. Come playlist, ovviamente.

giovedì 11 febbraio 2010

Consigli per le giovani generazioni - Lino e Mistoterital


Una volta, molto impropriamente, tutto il pop che cercava di far ridere, veniva etichettato "demenziale". Era demenziale la musica che sciorinava parolacce (che so, Bottana, Tony Tammaro, Non ho più piume sul culo, Freddy Copertone, la discografia intera degli Squallor , vedi qua) o doppi sensi (Il clarinetto, Arbore Chinotto, degli Skiantos), chi si occupava apparentemente di cose di particolarmente ridotta rilevanza (Accessori Auto, Marco Carena, Una fetta di limone, JaGa Brothers) e chi elevava peana allo sterco (L'inno del corpo sciolto, Roberto Benigni), chi trattava argomenti canonicamente amorosi ma con taglio "inconsueto" (Mi piaccion le sbarbine, sempre Skiantos, Cara ti amo, Elio e le storie tese, Se potrei avere te, di nuovo Tony Tammaro, Ti amo, di nuovo Carena). Erano anche catalogate demenziali le covers fatte sovrapponendo a musiche celebri testi incongrui (M'é morto il gatto, superba rendition di With or without you da parte di Edipo ed il Suo Complesso, C'è da spostare una pecora, Benito Urgu, Lato B -Let it be- dei Powerillusi). Insomma, un gran marasma, degno di analisi in molteplici post. In questo calderone vennero gettati immeritatamente Lino e Mistoterital, geniale band bolognese il cui surrealismo letterario venne scambiato per semplice gusto della comicità a tutti i costi. Al di là del sapido gioco di parole del nome (i nomi del gruppo e dei componenti erano mutuati dall'industria tessile, basti ricordare il cantante Phil Anka e il batterista Paul Syno) LMT offrirono ottimo artigianato musicale, che circolò dapprima solo su nastro (veramente sembra di parlare di un altra epoca..) e poi approdò al vinile con due album gustosissimi, specie il primo (Bravi ma basta, cui seguì Altri nani). Partendo di necessità dagli schemini punk in vigore all'epoca, assolutamente evidenti in Sbarbe della bassa, Tienti le tue trote (che meravigliosa allitterazione...), Hai torto marcio, Addio vecchia stufa, i LMT hanno saputo produrre ottimo pop con venature sixties (Verdura sulla luna sembrano veramente gli Hollies impazziti, Maledetta domenica sa proprio di Fab Four, Cacca cacca ha un attacco che cita zio Elvis, Sono peso sono obeso ha un impasto vocale inequivocabilmente sixties) che combinavano ad uno spiccato gusto per l'autoparodia ed il nonsense, elevato, una volta tanto in Italia, a cifra letteraria e non a semplice svago. Noi, che un Lewis Carroll o un Lear non li abbiamo mai avuti, abbiamo qualche difficoltà a riconoscere che "Zio Mostarda sposerà la figliola di Don Cristobal e seduto su un cornflake parlerà con l'ispettore Fern" o "spalanco una sguardo al sherry, con borse a ispettore Derrick, uno storico mi spieghi che ci fatto qua" siano testo degno di nota. Ma soprattutto non siamo abituati che a testi ridanciani venga abbinata una musica che non sia solo mero supporto al testo o che il gusto per il calembour ("Spara Juri spara" diventa "stira mamma stira") altro non sia che il paravento dell'insipienza musicale. LMT sono stati la contraddizione vivente di questi assunti. Il loro pop allegramente fuori dagli schemi è ancora oggi godibilissimo, nonostante tutti gli anni sulle spalle, anche grazie a quella dimensione artigianale, quasi casareccia, che emana da ogni loro produzione, video incluso (vedi sotto). Su tutto, l'amore per i Beatles è plateale, dai video che riecheggiano i film dei suddetti alle citazioni di "storie di vent'anni fa" fino alla parodia geniale della roof session di "Get back", rivisitata in chiave bolognese con live in mezzo al traffico di "Sbarbe della bassa".

LMT ebbero un successo di nicchia, con un pubblico certo non oceanico ma affezionatissimo ed un fanclèb notevole. Ora, a distanza di tempo, tutto o quasi il loro repertorio è disponibile per il download gratuito a www.linoeimistoterital.com/songobucco (ossia songbook, ma è probabile anche un riferimento a Longobucco) per la gioia di grandi e piccini. Sul sito, una pletora di gadget, ricordi ed aneddoti che danno l'idea della stravaganza nonchalante della cricca. Sicuramente hanno avuto molto meno successo di quello che meritavano, anche per quell'etichetta "demenziale" inadeguata. Adesso il grande ventre del www offre un'altra possibilità

lunedì 8 febbraio 2010

Il cassettone

È un tipo di nostalgia già stra-raccontato, ma per l'occasione lo rievoco pure io.
Sul finire dello scorso millennio vigeva l'usanza di scambiarsi i cassettoni, cioè delle cassette (Audio-Cassette è il termine esatto) registrate con il best-of delle proprie collezioni musicali.
In pratica si riversavano su cassetta le migliori canzoni dei migliori album (in genere dischi, quelli in vinile, quelli neri insomma, o anche da altre cassette) in proprio possesso e si praticava quello che poi, su scala mooooolto più estesa, è diventato il file-sharing. E tanto per ricordare che non tutto viene inventato ora, sappiano i giovani che questa abitudine era già lo spauracchio dei discografici al tempo:
Ad ogni conto, mi piacerebbe provare a rievocare quella sanissima abitudine tramite questo blog, per cui ho provato ad approntare un podcast composto da un po' di brani sparsi.
Il genere su cui mi sono orientato 'stavolta è grossomodo il folk-rock, ma si varia. E come primo brano mi è parso doveroso omaggiare l'album che da il titolo al blog con quella che per me è una delle canzoni più bella di quel disco, dei Beatles e della storia del pop in genere.
Qui sotto l'elenco dei brani, sotto ancora dovrebbe comparire il player per ascoltarlo:

1-The Beatles - While My Guitar Gently Wheeps (1968)
2-Grant Lee Buffalo - Fuzzy (1993)
3-Larkin Grimm - Ride That Cyclone (2008)
4-Cat Power - Good Woman (2003)
5-Eddie Vedder - Long Nights (2007)
6-Eels - Railroad Man (2005)
7-Beth Orton - Stolen Car (1999)
8-Calexico - The Black Light (1998)
9-The Black Heart Procession - It's A Crime I Never Told You (1999)
10-The New Pornographers - The Bleeding Heart Show (2005)
11-Sodastream - Tickets to the Fight (2006)
12-Pontiak - Aestival (2009)
13-Microphones - You'll Be In The Air (2008)
14-Kevin Ayers - Cold Shoulder (2007)
15-Sufjan Stevens - JOHN WAYNE GACY, JR. (2005)
16-Vic Chesnutt - Glossolalia (2007)

*UPDATE: E invece no, non ho ancora trovato il modo di fare comparire il lettore qui sotto.
Per il momento il file si trova su Rapidshare a questo indirizzo, poi cercherò di sistemarlo.

venerdì 5 febbraio 2010

Versi prima di coricarsi

When love calls me, I will be running swiftly,
To find out,
Just what all the fuss is all about,
Unrelentless, deep in the strangest feelings,
Believe me,
Love is full of wonderful colours
(Icicle Works, Love is a wonderful colour)

giovedì 4 febbraio 2010

Ciao Lux... un anno dopo


Un anno fa oggi se ne andava Lux Interior, al secolo Erik Lee Purkhiser, cantante dei Cramps, un icona per tutti noi dell'Album Bianco che però all'epoca non esisteva ancora. In omaggio al compianto Lux, e non solo per malcelato narcisismo, riposto il commiato che scrissi l'anno scorso, poco dopo la sua dipartita. Chi l'avesse già letto su facebook è pregato di perdonare.

"Lux Interior, cantante e frontman dei Cramps è morto improvvisamente all'età di 62 anni..."
Altro tassello che se ne va, altro segno nemmeno troppo indiretto della nostra età che avanza. Non è poi così strano (non credo che si griderà alla malasanità) che defunga un tipo che si è iniettato svariati sacchi di eroina, che ha bevuto molto di tutto e nel cui naso è entrata più roba di quanta ne sia uscita.... Però noi a quest'ometto dal soprannome platealmente roboante, la Luce Interiore, e a sua moglie Poison Ivy, l'Edera Velenosa, eravamo sinceramente affezionati, se non altro per la sua sessualità scurrile eppure gioiosa, esagerata e ridanciana. Anche se è già un miracolo che abbia superato i 40, per tutti noi che abbiamo pogato su What's inside a girl, Goo Goo Muck, Can your pussy do the dog? (capito il calembour?) e Kizmiaz, che l'abbiamo visto al Big in Corso Brescia a "giocare" con il microfono (vedere foto e immaginare altro) e accoppiarsi con i Marshall, è un piccolo lutto, prevedibilissimo ma sentito. Ciao Lux, e magari adesso riguardati un po'....






martedì 2 febbraio 2010

Versi prima di coricarsi

Will the wind ever remember
The names it has blow in the past?
And with this crutch, it’s old age, and it’s wisdom
It whispers no, this will be the last
And the wind cries mary
(Jimi Hendrix, The wind cries Mary)

Tre versi prima di coricarsi

Spalanco uno sguardo al sherry
con borse a Ispettore Derrick
uno storico mi spieghi che ci faccio qua

(Lino e Mistoterital, "Zazzera", da "Bravi ma basta" scaricabile, nella piena legalità, qui)

lunedì 1 febbraio 2010

Consigli per le giovani generazioni - Camper Van Beethoven, "Popular songs..."

Se andate in un megastore musical-tecnologico con un nome di 4 lettere a capitale francese (F**C), nel settore offerte, alla misera cifra di 4,90 € potrete trovare un CD di un semisconosciuto gruppo californiano di fine anni '80, buffi sin dal nome, Camper Van Beethoven (spiegazione: "van" in inglese significa "camper"). Altro non è che un canonico "meglio di", la compilation più o meno postuma ad illustrare quanto di buono avevano combinato costoro, all those years ago. Sia chiaro, a meno che non siate la mamma o la fidanzata di uno dei membri, questo dischetto non raggiungerà la vostra personale top ten, ma se volete un'oretta buona di musica molto americana senza compiacimenti shoegaze oppure se avete bisogno di prove della fantasia che regnava sulla costa ovest prima dell'avvento del grunge, questo cd fa per voi. Allora, tossite 5 euro e vi portate a casa "Popular songs of great enduring strength and beauty", cioè canzoni popolari di grande e persistente forza e bellezza. I CVB sono stati geniali interpreti del momento post-punk, incarnandone la assoluta libertà di stili, da loro mescolati con genio, anche grazie al produttore Eugene Chadbourne. Per intenderci, la pagina Wiki definisce il loro stile " pop, ska, world music, punk rock, folk, alternative country, and acid rock". Provate lo ska di Skinhead Stomp o Border Ska, la tirata di Take the skinheads bowling (poi resa famosa da Teenage Fanclub nella colonna sonora di Bowling a Columbine, di Michael Moore), la psichedelia reinventata di "Pictures of Matchstick Men and You", primo singolo degli Status Quo, gli straniti strumentali di "ZZ Top Goes to Egypt" e "Opi rides again", il valzer sghembo countrieggiante di "Sad Lovers' Waltz", la dylaniana "Good guys and Bad guys". Non è un bignami di musica americana, ricorda di più quei potpourri di semi profumati che ti propinano al ristorante indiano con strani gusti mescolati. Una menzione a parte meritano i testi, surreali e nonsense (chi chiamerebbe un album "Vittoria schiacciante con chiamata gratuita"?), che rendono ancora più di nicchia un prodotto che di massa non fu e non sarà mai, tutto giocato tra il serio ed il faceto. Che non può non chiudersi, ovviamente, che con "Ambiguity song". Per 4,90 € non trovate di meglio

Charlotte Gainsbourg - IRM

Io francamente devo ancora decidere se Charlotte Gainsbourg mi stia sulle palle o no. Affascinante lo è senza dubbio, ma ha un po’ troppo quell’aria da “io sono affascinante” per essere anche piacevole.
E tutto sommato trovo che non sia nemmeno così tanto brava da fugare del tutto il dubbio che la sua fama non sia sostanzialmente dovuta all’essere “figlia di” e che il suo fascino ambiguo non sia dovuto più che altro all’avere cantato quella canzone là con il suo papà.
Però poi tutto sommato è davvero affascinante e brava, allora oscillo indeciso...
E nonostante questa mia diffidenza, quando era uscito lo scorso disco (5:55), l’avevo comprato abbastanza prontamente, dopo avere letto una sola recensione favorevole scritta in un posto di cui in genere mi fido. Poi non mi era piaciuto un granché. Ma lì c’era lo zampino degli Air che a mio avviso meriterebbero un posto di riguardo nella classifica dei sopravvalutati.
Ora è uscito un nuovo disco e questa volta lo zampino è quello di Beck.
Va detto che la formula è la stessa dell’altra volta: Charlotte mette la sua voce a servizio di melodie semplici e lineari, il fido Beck ci mette l’estro.
La voce è quella che è, poco più che un sussurro, che può essere irritante o incredibilmente sensuale, a seconda dell’umore, ma alla fine si incastra alla perfezione nelle melodie che le sono state costruite intorno.
E poi c’è l’impronta di Beck, e qui il registro cambia. Come l’altra volta l’impatto è sostanziale, ma in questo caso il cantato misurato della francesina ne guadagna e risalta in negativo sulle trame vivaci intessute dal camaleontico californiano.
Lo scaffale su cui posizionare il disco è quello del pop, ma le sfumature sono piuttosto varie: si va dai ritmi afro di Master’s Hands, alla litania ipnotica della title track, alle atmosfere dark di Le chat du Cafè des Artistes, a quelle languide ed orchestrali di Vanities, al pop più classico (Time of the Assassins), e così via, passando per il blues di Dandelion e alla durezza elettrica di Trick Pony
Insomma, questa volta il risultato è di tutto rispetto, per me sicuramente meglio di 5.55, non solo per la varietà degli stili ma pure per un certo coraggio nel deviare dal prevedibile.

P.S. IRM starebbe per Imagerie par Résonance Magnétique (Tomografia a Risonanza Magnetica), a cui la Charlotte si sarebbe sottoposta a seguito di grave un incidente un paio d’anni fa. Ha dichiarato che i suoni e i ronzii che ascoltava chiusa dentro quel tubo sarebbero stati per lei grande fonte di ispirazione che avrebbe riversato in quest’album

Legge di Sturgeon

Ovvero il trionfo dello snob:
“Il novanta per cento della fantascienza è merda.
Ma in effetti il novanta per cento di tutto è merda”