martedì 26 aprile 2011

Rum, sodomia, frustini e musica per sentirsi a casa - "Dirty Old Town", 1985, The Pogues

Nel lontanissimo 1985, io ed il mio amico S., vagabondando per le isole egee, sbarcammo  in quel di Ios, che cominciava allora ad essere isola eccessivamente incasinata nonchè centro di riferimento regionale del sesso occasionale alcool-indotto. Sovrappopolata di adolescenti in preda ad un tornado ormonale, fiorita di un numero incongruo di locali ammiccanti,  - uno sfoggiava come insegna due paia di labbra stile  Stones affacciate con le linguone tumide intrecciate - tutta la movida, anche se allora non la chiamavamo così, si svolgeva transumando come una processione di disco in disco fino all'alba, alimentata da ingresso gratuito ovunque e bevande a prezzi stracciati. La prima sera avevamo seguito il preciso rituale bevi-balla-ribevi-riballa-tribevi-balla sul tavolo-caduta-vomito-nanna-sveglia al pomeriggio-cefalea-ematoma gluteo (la caduta, ricordate?). Alla seconda sera,  mentre si bighellonava in viuzze buie per tenerci altezzosamente a margine del casino, finimmo davanti ad un locale squallidino, niente insegne, niente decori, due clienti, solo uno stereo stile ghettoblaster giamaicano appeso al soffitto. Da cui, però, si diffondeva "Dirty Old Town", suonata dai Pogues.

Nel nostro infinito ateismo lo prendemmo per un segno del destino, e anche se assomigliava più all'antro di Polifemo (eravamo in Grecia e studentelli del classico) che ad un locale per giovanotti, entrammo, per scoprire che 
a) gli unici altri due clienti erano due trans 
b) l'unico nastro che c'era nel radiolone appeso era l'intero album "Rum, sodomy & the lash" - per i non anglofoni lash significa frusta  - quindi nel locale si sentivano ESCLUSIVAMENTE i Pogues
c) non ci sarebbero stati altri avventori nella nottata
d) ad accentuare l'aspetto grandguignolesco il padrone era un nano, che per cambiare il lato della cassetta che suonava doveva salire sul tavolo, operazione che compieva quindi ogni 20 minuti.
Il titolo dell'album poguesiano fu fortunatamente profetico solo per un terzo. Evitammo contatti attivi o passivi così come il BDSM ma ci annegammo nella vodka per alzarci quasi con il sole, dopo una  notte spesa in chiacchiere futili tra di noi. In segno di spregio rivoluzionario contro il casino organizzato, con il beneplacito della nostra omerica timidezza, tornammo tutte le sere a bere nell'infame localaccio, ribattezzato Mr. Pogues.
Ora, a ripensarci, quello che più mi colpisce è il ruolo di conforto offerto dalla musica. Diciamocelo, senza i Pogues non saremmo mai entrati. Gli altri locali erano buissimi e congestionati, potevi anche pisciarti addosso che nessuno se ne sarebbe mai accorto, e la musica non era neppure male. Chez Mr Pogues c'era una sola lampadina che era però sufficiente a descriverne in dettaglio lo squallore e l'ambiguità vagamente sporchiccia.  Eppure il riconoscersi in una musica diffusa forse anche casualmente ci aveva fornito quel quid di familiarità, quell'elemento invitante che non ci aspettavamo. Insomma, se questa gente sentiva i Pogues eravamo a casa, no? Perchè questo è uno dei meriti più alti della musica per noi melomani, la sua universalità ed il processo di identificazione e riconoscimento immediato che comporta. Puoi portartela dietro, per sentire pezzi musicali che sono anche pezzi di casa tua, e questo è stato il successo di walkman  ed ipod. Ma  è ancora più potente quando te la trovi lì, suonata da qualcun altro, come se un pezzo del tuo salotto si fosse materializzato dove sei per acccoglierti  e coccolarti. Mi è capitato altre volte di trovare conforto in situazione di disagio o spaesamento, o solitudine  (o tutti e tre, why not?). Ricordo un Adagio di Albinoni suonato da un violinista sulla Terrazza del Chateau Frontenac a Quebec City, "Red, red wine" - curiosamente uno dei must struscerecci di Ios - in una squallida discoteca nel Sinai, una poliziotta di frontiera di Newark che si complimenta per l'ascolto di "Garageland". Parafrasando una vecchia ed orrenda pubblicità, dove c'è musica c'è casa, o almeno ce n'è una buona parte

1 commento:

  1. Buon vecchio Shane... ci ha fatto sentire tutti bellissimi...
    Bel pezzo.

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