lunedì 16 agosto 2010

Vinicio Capossela, "Da solo", 2008

Siamo tutti accesamente devoti di San Vinicio, per aver italianizzato la lezione di Tommaso Waits e svecchiato (e, diciamolo, reso più accattivante) quella dell'Avv. Conte, insomma per essere Capossela. E quando Vinicione si è messo a mescolare altre influenze (la musica mariachi, quella bandistica) abbiamo plaudito riverenti. Ma se Capossela smettere essere Capossela e comincia a fare Capossela, ecco che i conti non tornano più. Come in questo "Da solo", più ombroso del precedente e già troppo compiaciuto "Ovunque proteggi", in cui il Vinicio gigioneggia più che mai, sbraca nella misura dei brani e non produce il gioiellino che si staccchi da una generica mediocrità. Troppe marcette, troppe leziosaggini fanciullesche, eccessivo il ricorso al nonsense dei testi. Nostalgici dell'ironia di "Marajà", del lirismo assoluto di "Ultimo amore" dell'immediatezza giocosa di "Allora mambo", imploriamo accorati San Vinicio per un sano ritorno alle origini. Da solo, appunto, può fare benissimo.

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