martedì 7 giugno 2011

Vinicio Capossela - Marinai, profeti e balene

Grandissimo Vinicio. Partito come un "Tom Waits de noartri" (e già sarebbe un merito) ha spesso divagato verso scenari della bassa, con fisarmoniche, grancasse e ottoni bandistici scrollandosi di dosso quella prima etichetta che sembrava stargli troppo stretta.
Poi nel 2006 ha cambiato di nuovo direzione, pubblicando Ovunque Proteggi, un album spiazzante, con momenti folli e momenti cupi, grandiosi e intimi, burleschi e tristi, che dimostrò quanto fosse difficile applicargliene una, di etichetta a quello strano geniaccio. (per me Capolavoro).
Dopo quell'album, Vinicio si è rinchiuso su sé stesso ed è uscito con Da Solo, album intimo e pensoso, meno notevole del precedente.
Ed ora è tornato a fare il grandioso. Affronta nientemeno che il Mare, con piglio epico da Achab in preda alla sua ossessione, confondendosi con biblici leviatani e disneyane orchestre in fondo al mar, popolate di polpi, sirene e fuochi fatui.
Poi nel secondo disco (perché quest'opera è in due tomi, due dischi per 19 canzoni, un'ora e mezzo) dallo scaffale pesca Omero e sul palco salgono Ulisse e Polifemo, Tiresia e Calipso. Ma i riferimenti letterari sono tantissimi, Conrad, Cèline, e le suggestioni richiamate dalla sua penna senza uguali sono da perderci la testa.
E la musica? Meno ombrosa di Ovunque Proteggi, ma altrettanto multiforme, giocosa e tragica, poca elettricità, la sua voce e il suo modo di pronunciare le parole al centro esatto di ogni brano. Ballate, "una fantasmagoria di ballate, gighe, prison songs, canzoni da giaccone, da peplo, da uniforme, da scafandro, o in pezzi di pura evocazione, brevi e perfette colonne sonore della vita tra i flutti" (Marco Castellani).
Un disco di nuovo bellissimo, che paga rispetto a quello là la dispersione della sua lunghezza, ma forse è solo un limite del sottoscritto.
Al primo ascolto, dopo le prime canzoni, ho avuto il timore di trovarmi di fronte ad un pallosissimo e pretenzioso lavoro. "Lo ascolto tutto una volta, solo perché glielo devo a Vinicio, poi mai più".
E invece ora non riesco a decidermi a levarlo dal lettore, mi sento avviluppato in quel magico baraccone delle fiere che il musico da Hannover riesce sempre a mettere in piedi, con quell'aria raffazzonata e cialtrona che svela un genio rarissimo e preziosissimo.
In alto i calici.

3 commenti:

  1. L'album bianco, noblesse oblige, fa sfoggio di democrazia e pluralismo. come già spiegavo qui (http://lalbumbianco.blogspot.com/2010/08/vinicio-capossela-da-solo-2008.html) a me Capossela ha sostanzialmente rotto i cosiddetti quando è diventato il personaggio. Proverò a rivedere la mia posizione, ma la nostalgia del Vinicio che fu credo sia irrisolvibile

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  2. Uhm, ho paura che sia effettivamente irrisolvibile, perlomeno con quest'album. Che però è meno lontano dal Capossela che fu di quanto è stato con Ovunque Proteggi, quindi sai mai...
    C'è da dire però che a me il periodo di Canzoni a Manovella non garbava tanto, quindi parto proprio da posizioni diverse.

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  3. Di nicchia purtroppo! Ma grandioso

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