Mi è capitato qualcosa del genere con questo disco. L'autore, Devendra Banhart, è il tipico personaggio con molti motivi per starmi un po' sulle palle. Spocchioso, snob, adorato come un guru di chissachè, fascinoso... senza poi, secondo me, avere mai fatto niente di così eclatante.
Voglio dire, i suoi primi due dischi di un certo successo, Rejoicing In The Hands e Niño Rojo li avevo trovato appena gradevoli, sicuri argomenti per dare del "sopravvalutato" al loro autore. Un folk un po' frichettone che tutto sommato è poco più che canzoncine semplici e delicate, con arrangiamenti accattivanti, ma che poi alla fine lasciano ben poco addosso.
E così, dopo essermi procurato il suo nuovo album, questo What Will We Be, l'ho ascoltato con la conseguente sufficienza e non ho avuto grosse sorprese: album gradevole, ma con nulla che facesse drizzare le antenne o tantomeno gridare al miracolo.
Poi, per una causa fortuita mi è capitato di riascoltarlo, di concedergli una chance in più. Ebbene, ho avuto una piccola folgorazione. Piccola piccola, intendiamoci, ma folgorazione.
Ho scoperto che è un disco molto gradevole, cioè che quella sua gradevolezza senza picchi, non è un limite, ma un pregio e pure abbastanza raro. 50 minuti di musica che non solo si lascia ascoltare volentieri, ma che pure è in grado di regalare un po' di buon umore, a patto di non essere alla ricerca della mirabolante innovazione e di essere indulgenti con l'uso di certi cliché, col già sentito, col "niente di straordinario".
Ma a volte c'è bisogno di rilassarsi, di ascoltare qualcosa che non tenda i nervi, che ci lasci serenamente quieti, almeno in quella porzione di attenzione che dedichiamo alla musica. E questo disco, dischi come questo, sembrano essere fatti apposta per farci battere il tempo senza accorgercene, per farci di tanto in tanto accorgere di quel che abbiamo messo in sottofondo e farci pensare che "non è male 'sto pezzo", prima di riabbandonarlo per tornare a dedicarci alle nostre quotidiane incombenze.
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