mercoledì 13 gennaio 2010

I sopravvalutati: The Cure – “la trilogia dark”

Perché se si decide di essere iconoclasti, la cosa più salutare è sicuramente iniziare dai propri idoli.
Si navigava nel luccichio degli anni ’80, quelli fatti di spalline imbottite, pantaloni che lasciavano intravvedere il calzino, capelli lunghi dietro e corti ai lati, yuppies e piumini, batterie elettroniche e synth (Yama DX7, un mito) e tutte quelle cose lì che prima o poi verranno rivalutate in modo da diventare pure loro “favolosi”. Beh, tra tutto quel luccicare e quei colori fluo, spiccava per cupezza la mia di allora band preferita, The Cure.
Loro si distinguevano, ah se erano diversi: niente video allegri, niente breakdance, nessun basso suonato col pollice (“sleppare”, si dice “sleppare”!), nessuna copertina su Ragazza In, nessuna foto ufficiale ai caraibi, nessun video su MTV.
Oddio, nessun video… almeno fino a Close to me. Ma lì è dopo, sono diventati commerciali. Via dunque, anatema, si sono venduti!!!
E si diede inizio al rito dell’erano-meglio-i-primi-album.
Si perché la trilogia dark, il trittico Seventeen Seconds-Pornography-Faith era meraviglioso, altro che quella roba commerciale. Vera sofferenza artistica, vera ansia creativa, vero spleen esistenziale, vero viaggio nell’oscuro.

Stronzate.

Con quei tre album (ricordiamo: 1980-81-82) i Cure si fecero la fama di alfieri del dark, pionieri della new wave oscura, inventori di un genere, paladini della musica dalle tinte fosche.
Balle.
Era pop, solo pop.
Pop dei più semplici, senza invenzioni eclatanti, senza dissonanze, senza deviazioni dai 4/4, tutto pulitino e ordinario, per non dire proprio banale. Le atmosfere (leggi: gli arrangiamenti), quelli sì, in effetti erano abbastanza suggestivi e qualche merito occorre riconoscerlo, ma di qui a farne gli inventori di un genere ce ne corre. Tutto quel che fecero fu trasformare un fenomeno sotterraneo (underground si diceva allora) in una moda pop, semplicemente una delle tante divise che si indossavano in quei periodi.
Ora, non che io abbia niente contro il pop, ci mancherebbe. Anzi, pur non essendo in questo periodo esattamente nelle mie corde, ne riconosco sia valore che esempi sublimi. Però, diciamocelo, il pop è il genere più facile da digerire, da diffondere. Da vendere, insomma.
Quindi quello che mi fa schiumare di rabbia è l’atteggiamento di chi da un lato lo snobba (“pop noi? Ma vaffanculo, noi siamo alternativi, a noi il pop ci fa schifo!”) mentre dall’altro lo utilizza ruffianamente per rimpinguare il proprio conto corrente. E anche su questo non ho nulla in contrario. Sono le due cose insieme che non riesco a tollerare.
Mi è capitato infatti di riascoltarli recentemente (ne avevo parlato qua) e mi sono cascate le braccia. Voglio dire, avevo a malapena 15 anni, avevo appena accantonato i dischi dello Zecchino d’Oro, stava iniziando uno dei momenti più esplosivi della diffusione musicale (radio private, ma soprattutto i video) e si veniva bombardati da Duran e Spandau, Wham! e Madonne, per cui non potevo non pensare che quella gente vestita di nero che faceva musica malinconica non fosse qualcosa di veramente diverso. E un po’ lo erano, sì, ma davvero solo un po’. Visti dalla distanza degli anni e delle successive scoperte musicali, tutta quella roba lì, compresi i Cure, si confonde in un unico grosso minestrone.
Pop.
Però mentre un George Michael qualunque non faceva lo schifiltoso e ammetteva tutta la sua pop-itudine (“pop noi? Ma certo, noi siamo pop(oular), noi col pop ci vogliamo fare un sacco di soldi!”), questi qua cantavano di bambine orfane, di atmosfere tetre, di funerali e di foto sbiadite, ma poi, a metterla su uno spartito, si trattava sempre della stessa fuffa.
Solo l’arrangiamento cambiava, come dire la confezione.

Ah, a proposito di erano-meglio-i-primi-album: ora penso che il primo loro disco (Three Imaginary Boys, 1979) sia il loro più bello. Ai tempi ne apprezzavo giusto una canzone o due, ora mi pare che sia stato il loro unico momento davvero originale.

5 commenti:

  1. concordo appieno sulla debolezza della trilogia ma mi sembri un cattivone quando dici che Three imaginary boys è stato l'unico momento "originale veramente" (abatantuono docet). Non hanno mai fatto un album perfetto, è vero, o anche solo uniformemente di alto livello, ma un the best of the cure comprende almeno 10 delle canzoni memorabili degli anni 80 (lullaby-caterpillar-lovecats-close to me-just like heaven-in between days-friday I'm in love-a night like this-boys don't cry-primary). peraltro concordo sul fatto che fossero per alcuni aspetti più simili ai duran che a siouxsie and the banshees

    RispondiElimina
  2. be in effetti ho un po' ecceduto, ma quando si tirano giù gli idoli non si va troppo per il sottile.
    se no che gusto c'è?

    RispondiElimina
  3. Dissento. Pornography non ha nulla di pop: è un'arma da taglio. E anche col pop (kiss me è un album straordinario) hanno saputo farci lacrimare.

    RispondiElimina
  4. Non sono d'accordo su un paio di punti, ma in generale l'attitudine pop dei Cure è innegabile, basti pensare al cambio di rotta successivo a Pornography. Robert Smith non è mai stato un songwriter maturo o troppo profondo (quindi l'appellativo pop gli calza molto bene!), tuttavia in Faith (sottovalutato) e Pornography ci sono atmosfere languide e musicalmente interessanti (specie nelle armonie di basso di Gallup). Concordo che i riferimenti dark o goth siano forzati, sono altre le band che possono dirsi capostipiti del genere ... bella disamina, un po' incazzata, ma bella ...

    RispondiElimina