nel 1983 avevo 15 anni e ascoltavo, prima di addormentarmi, già nel letto, raistereonotte. affascinato dal buio, affascinato dalla musica ascoltata al buio, affascinato dalla mia solitudine condivisa con la musica e con il buio. sulla scrivania accanto al letto, che fungeva un po' da comodino, stava appoggiata la radio. dentro c'era una cassetta, su cui ero solito registrare le canzoni che mi piacevano, rubandole dall'etere della trasmissione radiofonica (allora si faceva così, non c'era internet, per cui o avevi il disco che ti piaceva, oppure dovevi registrare le canzoni dalla radio). raistereonotte era una trasmissione che cominciava poco dopo mezzanotte, i dj erano davvero dei tipi di qualità, parlavano a voce bassa, non urlavano come quelli del giorno, si potevano permettere racconti più lunghi e articolati, perchè era come se tutto fosse più rarefatto, o anche solo lento, un po' come vedere il mare calmo al buio, di notte, sulla spiaggia, d'estate, quel mare che poche ore prima assisteva al concerto di un'umanità caotica e chiassosa, ed ora invece. beh, questo per dire della fascinazione che si poteva avvertire, in quel momento: una sottile sensazione di libertà assoluta, o di partecipazione ad un rito misterioso e quasi sacro. erano molte, le canzoni che registravo. quelle cassette venivano incise e sovraincise più volte, per seguire il percorso dei miei gusti. e va considerato che si trattava di cassette, con quel nastro che a volte, per il troppo utilizzo, fuoriusciva dalla sede e si accartocciava, costringendoti a complesse operazioni per rimetterlo a posto (si usava una matita, per riavvolgerlo, in una di quelle manovre che sarebbe troppo difficile spiegare ad un bambino di oggi, che al massimo deve preoccuparsi di provvedere ad un ipod scarico).
una sera come tante, non mi ricordo chi fosse il dj che selezionava la musica (i dj ruotavano spesso, e anche questo era affascinante, per quella continua scoperta che costringeva, te ascoltatore, ad entrare nelle personalità e nei gusti di persone sempre diverse), ascoltai un pezzo che mi piacque molto e lo registrai. per la verità registrai solo un pezzo, di quel pezzo, perchè schiacciai il tasto rec solo dopo un buon minuto (o comunque il tempo necessario per pensare "oh beh...che bello... mi piace...ok, lo registro!", insomma per accorgermi che mi piaceva). non capii mai che titolo avesse, quel pezzo, nè di chi fosse. e non ricordo perchè lo ascoltai così poco, se perchè fu presto cancellato per far spazio a nuove canzoni o perchè la cassetta si ruppe o scomparve dalla mia attenzione. fatto sta che quella canzone non smise mai di ronzarmi in mente, benchè in modo confuso e spezzettato.
nel frattempo sono trascorsi trent'anni, da allora. e il mio mestiere intanto è diventato fare il musicista. quella canzone, periodicamente, mi tornava in testa. mentre studiavo, mentre componevo, mentre canticchiavo sotto la doccia. un sacco di volte. la canticchiavo molto male, ignorando completamente il testo, in inglese, che all'epoca non avevo assolutamente afferrato, ma riproducendo in qualche modo sorprendentemente lucido la melodia e la successione degli accordi. quella canzone era diventata una specie di unicorno. a differenza dell'unicorno ero certo che esistesse, in effetti, ma ogni mio tentativo di ricerca era stato infruttuoso e davvero, davvero, ero certo che non l'avrei mai trovata.
una settimana fa, anno 2012, la mia età 45 anni, mi trovavo su una spettacolare terrazza sul mare, a casa di amici. si cenava in allegria e sotto, sulla spiaggia, il paese dava vita ad una piccola sagra in cui volenterosi e poco abili dj smazzavano hit di vario genere, da quelle più recenti a quelle di ogni tempo, spaziando da ai se eu te pego ad i will survive. nel nostro distrarci vagamente ebbro ci capitò di ascoltare una canzone di cui non ricordavamo nè titolo nè interprete (non era la "mia" canzone, no no! la mia canzone era una canzone che non avevo mai mai mai incontrato in trent'anni di musica e non potevo certo pensare di incontrarla su una spiaggetta del levante ligure ad una sagra di paese). ognuno diceva la sua e quasi cominciammo a scommetterci, quando anna, mia moglie, tirò fuori l'iphone e disse "beh scopriamolo". io stavo bene, galleggiavo nel vermentino ed onestamente ammetto che in quella piccola diatriba non avevo interesse a prendere posizione. però mi colpì la sicumera con cui i miei compagni affrontarono il tentativo di dirimere la questione: davvero pensavano che un'app dell'iphone potesse sciogliere il mistero? beh, come molti meno babbani di me sanno, in effetti esiste un'applicazione per questo tipo di quesiti (almeno una, quella che hanno usato loro e che si chiama soundhound). e davvero la questione si risolse, e i miei amici ebbero la loro risposta, dopo che anna abbozzò il canto di quella melodia davanti all'aggeggio miracoloso.
beh, wow, in quel frammento di lucidità che mi era rimasto mi si affacciò l'idea che forse, forse, potevo tentare anch'io di trovare la risposta all'enigma che mi aveva dolcemente attanagliato per trent'anni. non era certo in quella situazione chiassosa che avrei messo alla prova quel geniale algoritmo, però. la speranza era sorta così all'improvviso e così meravigliosamente, che non volevo bruciarmela. decisi che avrei atteso un momento più calmo e propizio, gustandomi nel frattempo l'attesa che forse una ricerca poteva davvero essere compiuta.
a notte fonda, prima di andare a dormire, ormai del tutto ubriaco, presi l'iphone di anna, pacioccai grossolanamente il touch screen (io non so gestire bene un touch screen, e il mio telefono è un nokia di vecchissima generazione) fino a trovare quel magico programmino. quasi tutti erano andati a dormire, anche la spiaggia. dalla finestra aperta si sentiva solo il mare che scuro e lento si infrangeva sulla battigia. comincia ad intonare con la tracotanza dello sbronzo il fatidico "na na na" con cui cercavo di riprodurre la melodia che ero così certo di ricordare, che per tanti anni mi aveva fatto mio malgrado compagnia. cominciai insomma ad intonare il canto dell'unicorno, diciamo. mentre lo intonavo, in quei pochi secondi, ricordo di aver avvertito la netta sensazione che anche quel tentativo avrebbe fallito. tuttavia ero sereno, era una di quelle cose che si fanno gratis, senza aspettativa (è meraviglioso non avere aspettative). anna e la nostra amica claudia, le superstiti della serata, mi deridevano per l'intonazione e la scarsa lucidità, ma io andai avanti per quei pochi secondi con la tenacia del mulo.
quando credetti di aver dato il meglio di me diedi lo stop alla registrazione e misi in atto la ricerca. in un attimo mi si presentò una schermata di possibili soluzioni. la terza. la terza era un titolo strano e sconosciuto. la prima e la seconda erano qualcosa tipo cristina aguilera e kate perry, o cose così, che ero certo non potessero essere. la terza. la terza era una canzone che si chiamava "what becomes of the brokenhearted" di un tal jimmy ruffin, zazzeruto nero chiaramente degli anni sessanta, perlomeno visto il giubbotto che indossava nell'immagine di presentazione.
la terza. febbrile ho premuto l'icona. il tempo del caricamento e il pezzo è partito. non era lui. o meglio, non era quella, la versione che era diventata il mio principe azzurro negli ultimi trent'anni, però era lui. era lei la mia canzone.
respiro. anso.
amplio su youtube la mia ricerca sfruttando la conoscenza del titolo e subito trovo questo:
http://www.youtube.com/watch?v=zv3mO4A6zOw
è lei.
dio.
la ascolto per due ore, attaccato alla presa di corrente cui nel frattempo l'iphone si doveva ricaricare.
l'ho trovata. ho pianto. ho riso. ero ubriaco di tutto.
come se il mondo avesse improvvisamente assunto un senso nuovo, il più vivido di tutti quelli mai presi fino ad allora.
avrei voluto morire durante, potrei dire, in quegli attimi di splendido egoismo.
ah, la canzone è una canzone così, se la si sente a cuore freddo.
non importa la canzone (a parte che a me, chiaro), è quella ricerca, che importa.
è stato come rivedere dio, posto che questa affermazione abbia un senso.