Chiacchierando con una persona più giovane di una quindicina di anni, mi sono trovato inopinatamente invischiato in un confronto, dal vago sapore generazionale, tra i Placebo e i Buzzcocks. Vestiti i panni del vecchio nostalgico ma ragionevole, sforzandomi di evitare la rudezza dell'autoaffermativo "sono meglio i Buzzcocks e basta", ho provato a meditare sull'argomento. Perchè, è vero, ci sono tratti comuni, la cifra stilistica di alcuni brani è simile (proto-punk graffiante, orecchiabile). Ma non ho potuto fare altro che schierarmi all'istante con Pete Shelley e soci, e relegare i Placebo, che hanno venduto 84 trilioni di dischi in più, al limbo degli emuli o dei copioni.
Intendiamoci, non che i Buzzcocks siano dei geni immortali, non hanno cambiato per sempre la storia della musica, hanno inventato poco e lasciato alcuni ricordi neppure così nobili. Ma mi piace il mondo che evocano le loro canzoncelle rabbiose, in 4/4 muscolosi e sudaticci, il sapore di public school e public houses (cioè di birra) che emanano, il genuino fascino operaio dei truzzetti inglesi, vestiti come un tramviere in ferie. Da Ever fallen in love (vedi il video) a Sixteen again, dalle scorrettissime Oh Shit e What do I get alla fin troppo sincera Orgasm addict, gli argomenti -musicali e letterari - dei Buzzcocks sono pochi ma chiari, e di una sincerità disarmante.
Per onestà intellettuale ho voluto comunque sottopormi a delle (moderate) dosi di Placebo, nella speranza di fortificarmi nella mia preferenza. Molko e compari non mi hanno deluso, sono ascoltabili e potrei anche ammettere che alcuni loro pezzi (Every you and every me, Special K) potrei sentirli in autoradio senza cambiare canale. Ma al contempo le mossette studiate, le pettinature da istrice, l'identità sessuale volutamente maldefinita, sono quanto più antitetico esiste alla proletaria furia dei Buzzcocks. I Placebo sembrano studenti di arte, deviati a inscenare un antagonismo di facciata - rivedetevi l'ignobile e caricaturale sceneggiata in cui spaccano un ampli a Sanremo - ma sostanzialmente perbene, privi di quel mordente, di quel ghigno primitivo e genuino che identificava Pete Shelley e compari. Ma mentre davo una veste razionale alla mia repulsa dei Placebo (nun me piacciono!! so' troppo paraculi!) mi sono anche chiesto se si tutta colpa di Molko & Co. Ossia se la differenza tra i Buzzcocks e loro non sia esattamente la differenza che intercorre tra l'Inghilterra pre-Thatcher, ancora sostanzialmente centrata sulla working class, sulla coscienza operaia e la Cool Britannia odierna, con gli Starbucks al posto dei fish and chips, i ristorantini fighetti in una terra che, come ricorda Kevin Kline in "Un pesce di nome Wanda" ha dato come unico contributo alla cucina internazionale la patatina fritta. Dopo tutto i Laburisti sono passati da Neil Kinnock a Tony Blair, mantenendo una facciata inconsistente e spuria, proprio come i Placebo in musica. E se ha perso la bussola il principale partito di sinistra inglese, perchè dovrebbero tenere la rotta i Placebo? E allora se il ribellismo col mascara dei Placebo, smorti figlioli di quest'epoca evanescente, è autentico come è vero l'internazionalismo del Tony BLIAR perdoniamoli, che in fin dei conti non è (solo) colpa loro.
Io l'ho visto giocare.
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