Il nuovo disco di Joanna Newsom è strepitoso, semplicemente.
4 anni dopo quel capolavoro di Ys, chi lo aveva ammirato (o adorato come il sottoscritto), attendeva con la classica curiosità e preoccupazione che si provano quando si attende la prova seguente ad un gran successo (nel senso di "riuscita", non certo commerciale): potrà mai esserne all’altezza? Replicherà la stessa formula a scanso di rischi? Sarà qualcosa di raffazzonato che rivelerà il prosciugamento della fonte creativa?
Poi si viene a sapere che il disco sarà in realtà un triplo CD. Allora la preoccupazione diventa quasi rassegnazione: la Newsom ha sbroccato.
Per chi non lo conoscesse, si sappia che ovviamente a Ys non erano mancate delle critiche e queste erano essenzialmente due: il timbro della voce e la lunghezza dei brani.
Sul primo punto, niente da fare. Il timbro è quello, un po’ nasale e quasi infantile, può piacere o meno, ma per quanto ci si possa lavorare non è che si possano fare miracoli. Questione di gusti comunque.
Il secondo è anch’esso opinabile, ma molto più trattabile. È a discrezione dell’autore, sebbene una certa esuberanza creativa non sia forse tanto facile da tenere a freno.
E cosa fa la ragazza? Quando sa che tutti la attendono al varco se ne esce fuori con un lavoro che insiste proprio nel suo aspetto più criticato. Chiaro che le quotazioni dei bookmakers sulla riuscita dell’operazione fossero davvero al ribasso.
E invece.
L’album è lungo, chiaro. Ma non tantissimo. Ci sarebbe stato in un doppio CD.
Le canzoni sono più vicine alla canzone normalmente intesa che alle suite di Ys. Certo, la durata media è di 7 minuti, quindi siamo ancora ben lontani da singoli radiofonici, ma un po’ di verbosità è stata ridotta.
La voce poi è migliorata nel timbro e forse anche nell’estensione. Si avvicina al folk nordamericano di Joan Baez o di Joni Mitchell (e alla cantautrice canadese è già stata ampiamente accostata) e ha abbandonato gli aspetti più ostici.
Gli arrangiamenti questa volta sono curati, oltre che dall’autrice stessa, da tal Ray Francesconi che ne ha arricchito e di molto lo spettro espressivo. Laddove Van Dyke Parks in Ys sembrava avere giustapposto le sue (mirabili) orchestrazioni a dei brani già ultimati, il lavoro di Francesconi è molto più integrato alla composizione della Newsom e il risultato è davvero squisito.
18 brani di altissimo livello, tutti gravitanti intorno a quel modo mai troppo lineare di scrivere musica della ragazza, che mescolano momenti intimi, con la sola arpa a sostegno (Autumn e ‘81) a episodi al limite del pop (Good Intention Parving Company), suggestive costruzioni melodiche (Occident, Go Long, Baby Birtch) o armoniche (Have One On Me, Go Long, Kingfisher). La voce poi è sempre assoluta protagonista. La Newsom canta e la musica accompagna, cesella, arricchisce, colora, ma è sempre il cantato a dare la metrica ai brani. A dire il vero alcuni momenti puramente strumentali ci sono, ma sono rari episodi.
È un lavoro davvero complesso, ambizioso e strabordante di dettagli, per cui dopo una settimana di ascolti non ho ancora finito di assimilarlo, ma il livello è stratosferico. E esagero davvero poco.
PS Notavo che Ys è uscito quando la ragazza aveva 24 anni. Un anno in meno di Herbie Hancock quando pubblicò Mayden Voyage.
Alla faccia di quelli che “i giovani musicisti non valgono niente in confronto a quelli dei bei tempi andati”.
Io l'ho visto giocare.
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5 settimane fa
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