
Alla fine ho optato per questo, semplicemente perché più maturo e raffinato, anche se un po’ di nostalgia per i ricami chitarristici di Josh "Deakin" Dibb non si può non provarla. I tre ‘sopravvissuti’ comunque hanno fatto di necessità virtù e si sono orientati verso un approccio più elettronico al loro multiforme psyhc-pop incrementando l’utilizzo di diavolerie elettroniche per costruire il suono. Noah “Panda Bear” Lennox aveva infatti appena fatto una significativa esperienza in questo senso con notevolissimo Person Pitch, per cui è stato in grado di prendere egregiamente le redini del progetto e realizzare quello che forse è il loro album migliore e meglio prodotto.
Pastiche elettronico, pop psichedelico, musica corale e fricchettona, gli Animal Collective si dimostrano definitivamente come i migliori interpreti di questo primo decennio del millennio con la sua fluida e rapidissima mutabilità, con le caleidoscopiche influenze che lo frammentano e lo rendono talmente cangiante da essere inafferrabile.
Perché è difficile descrivere questo tipo di musica, ho provato diverse volte a farlo, ma senza mai riuscirci se non approssimativamente, e finendo ogni volta col dire: ascoltàtela.
Non è musica semplicissima, ma non è nemmeno pretenziosa o volutamente astrusa. L’approccio migliore per assaporarla è quello di lasciarsi trasportare, di sdraiarcisi sopra e permetterle di avvolgerci, di solleticarci con le sue mille spume con i frammenti ora aguzzi ora fluenti dei suoi innumerevoli suoni, delle sue stratificazioni delle sue voci sovrapposte.
E basta, senza troppe riflessioni, perché è troppo sfuggente la loro musica per poterla cogliere in pieno, appena ce l’hai è già cambiata.
Come la realtà di questo decennio.
Lunga vita!
(ne avevo già parlato qui)
arciquoto
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